Ma a World Sailing lo sanno che la vela ci piace così?

Riportiamo integralmente un articolo di Farevela.net contenente un’opinione di Michele Tognozzi su quanto sta accadendo nel mondo velico in merito agli indirizzi di World Sailing e alle scelte sulle classi olimpiche.

“Lo sport olimpico si sta adeguando alle mode ma siamo sicuri che sia un bene? Si è’ parlato molto nelle ultime settimane delle nuove discipline che il CIO inserirà a Tokyo 2024. Ultima la breakdance sportiva, che segue l’onda degli Urban Sport già iniziata da alcune edizioni e che passando per lo skateboard, per quanto riguarda gli sport dell’acqua, ha portato all’inserimento del surf e del kyteboard. La crisi dello sport giovanile, si dice, viene risolta con l’inserimento di discipline che possano attrarre i giovani. Da qui biciclettine che saltano, tavole che scivolano su neve o acqua, possibilmente con una buona dose di rischio… che fa spettacolo… sull’onda dei video consumati su YouTube alla velocità’ di click sempre più amorfi e indistinti. Basta far traffico, dicono i nuovi manager della comunicazione sportiva, se poi i giovani restano seduti su divani e sviluppano solo i muscoli dei polpastrelli poco importa. Sono numeri. Oggetti da audience. Se hanno i muscoli atrofizzati importa poco. Anche World Sailing insegue l’onda, puntando forte su una Vela Virtuale, Virtual Regatta, che di fatto allontana gli utenti da mare e vento, relegandoli a semplici variabili oggetto di campagne di marketing. La vela praticata, secondo quella che era la federazione mondiale, è’ secondaria rispetto a un non meglio definito “spettacolo” basato unicamente su una velocità a prima vista appassionante, ma poi ripetitiva e anche un po’ lontana dalle reali possibilità’ dell’utente velico medio

Altri sport, la scherma per esempio, hanno provato a rimediare inserendo le spade Laser nelle competizioni. OK, si imitano Guerre Stellari o i videogiochi ma, almeno, su una pedana, si sale davvero e i muscoli, compreso quello celebrale, continuano a muoversi e svilupparsi. Si insegue la “gente”, il pubblico mainstream, ma ciò’ che invece appare è’ che non si conquistano nuovi spettatori e si rischia di perdere la base. Se per far piacere la vela occorre arrivare a scontri reali, avarie, salti tripli, beh… forse stiamo sbagliando qualcosa.

Conviene questa rotta alla vela e al Comitato Olimpico Internazionale? Business is business, rispondono i guru, ma la realtà’ verificata in decenni di pratica della reale dinamica che regola il mondo nautico pare sempre più sfuggente. Sempre meno compresa. La vela fatta dai praticanti, che frequentano i circoli velici e da lì passano poi dalle derive ai primi monotipi e infine all’altura nelle sue varie forme, compresa la semplice e mai troppo celebrata passeggiata a cinque nodi nella brezza pomeridiana con il cabinato di nove metri, sembra sempre più’ a rischio. Il contatto vitale, quasi fetale, con l’acqua, elemento costituente dell’essenza umana, pare scomparire tra caschetti, ali volanti, velocità fini a sè stesse, spettacolari e addirittura auspicabili per poche decine di superprofessionisti al mondo ma irrealizzabili per le centinaia di migliaia di normali amatori velici.

Non è che assecondare la velocità di Internet, o l’uso e consumo di mode effimere, porti allo sviluppo di una disciplina o di una pratica. Piuttosto consente di riempire le tasche di pochi eletti e di svuotare i circoli sportivi. Intendiamoci, lo sviluppo tecnologico è’ essenziale e spettacolare. Gli ultimi Imoca 60 SSL o i Tp52 di ultima generazione sono delle macchine a vela eccelse e, in mano ai migliori velisti al mondo, appassionano e riempiono gli occhi. Ma, a ben vedere, poi quali sono le classi che continuano a fare buoni numeri a livello mondiale? Sempre le solite, quelle accessibili a tutti. A chiunque sia davvero appassionato. Il Laser, lo Snipe, il Finn che vanta un’enorme flotta Master, il 420. Nei monotipi la Star, i Dragoni e quelli del momento, adesso lo è il J/70. Nell’altura le prove medio-lunghe, dove tutti hanno una chance teorica di ben figurare e dove sulla linea di partenza si può incontrare il campione celebrato.

La rincorsa all’audience a prescindere non sta facendo bene all’attuale società’, non solo in faccende nautiche. Se la realtà diventa virtuale, se l’attenzione media di una notizia è’ sui 3/4 secondi, se contano solo i titoli acchiappa click e nulla il contenuto reale, allora si rischia di precipitare nell’effimero. E da lì si precipita in un nanosecondo all’offesa gratuita ormai di casa sui social più volgari. In un mondo informe dove, a ben vedere, nessuno, per tornare alle faccende veliche, cazza più una scotta o modella la forma di una vela, con il sale che ti resta sulle labbra dopo che gli spruzzi ti hanno lavato la faccia. Lo sviluppo del foiling è evidente e sta applicando a tutta la vela innovazioni che solo fino a pochi anni fa sembravano impossibili. Ma in quanti riescono a dedicarsi, senza essere professionisti, a tale sviluppo? Pochissimi e la divisione tra una vela pro e una amatoriale, con la seconda sempre più destinata a diminuire i suoi praticanti per “raggiunti limiti d’età” appare sempre più attuale.

Eppure, la vela, quella normale, continua ad attirare. E lo fa per i suoi valori, così diversi dalla sola ricerca della velocità’, che sono (sarebbero o dovrebbero essere) il vero assett su cui puntare. La tradizione sportiva. Quei valori storici che rendono leggendaria l’America’s Cup e già noioso il SailGP di Coutts ed Ellison. Che davano un’aurea quasi epica agli Ori olimpici di Finn, Laser, Star. Adesso World Sailing ha deciso di puntare su un evento d’altura riservato a poche nazioni wealthy, con la concreta possibilità’ che un riccone si “compri” il lasciapassare olimpico. Si ipotizza che la Regata d’altura olimpica sarà seguita live da quella Virtuale destinata al “pubblico”. Quanti di costoro si iscriveranno poi a un circolo velico, per provare realmente l’ebrezza e il piacere dei sensi in un’autentica navigazione a sei nodi, non è dato sapere. Quanti ragazzi lasceranno i joystick delle playstation per impugnare davvero una barra, non importa se in carbonio, legno o alluminio, e godere del vento che ti accarezza il volto?

Questo conterebbe davvero in una World Sailing che conoscesse realmente il suo mondo. La sensazione, però’, è che la rotta intrapresa segua quella dell’attuale società. Dove l’homo sapiens si va via via incurvando, intristito e sempre più incattivito, di fronte allo schermo di uno smartphone. Che certo non ti spruzza l’acqua in faccia”.

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